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Premio Penna d’oca 2017 a Donatella Gasperi, menzioni speciali per Germana Cabrelle e Marina Lucchin

Premio Penna d'Oca

PADOVA, 24 maggio 2018 – Donatella Gasperi, 60 anni, collaboratrice della “Difesa del Popolo” e freelance, è la vincitrice del premio Penna d’oca 2017 promosso dall’Associazione Stampa Padovana con il patrocinio dell’Ordine dei Giornalisti del Veneto. La giornalista è stata premiata nel corso di una cerimonia che si è svolta nella sala Rossini del Caffè Pedrocchi a Padova. Due menzioni speciali “Giornalismo d’inchiesta” sono state assegnate ai giornalisti Germana Cabrelle (Vanity Fair) e Marina Lucchin (il Gazzettino). Per la prima volta tre donne sono state insignite del premio.
Nella foto, da sinistra Marina Lucchin, Donatella Gasperi e Germana Cabrelle


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Avviare un tavolo di confronto permanente sulle tematiche di genere

Avviare un tavolo di confronto permanente sulle tematiche di genere, sul linguaggio nell'informazione legata alla violenza sulle donne allo scopo di siglare un Protocollo donne e media come è stato realizzato in Emilia-Romagna e Lazio con il Corecom. Accelerare il cambiamento culturale nelle redazioni attraverso dei percorsi formativi ad hoc rispetto ai quali la collaborazione fra Sindacato Giornalisti Veneto-Commissione Pari Opportunità Fnsi e Regione Veneto potrebbe risultare quanto mai efficace.

È il duplice appello che Sindacato Giornalisti Veneto e Commissione Pari Opportunità Fnsi rivolgono, nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ai direttori delle testate giornalistiche, al Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, e alla Giunta, al Presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, e ai Consiglieri regionali, al Presidente del Corecom, Gualtiero Mazzi, ai Parlamentari veneti e a tutti i Sindaci del Veneto.
La violenza sulle donne è tema che da troppo tempo tiene banco sui media, nei talk show senza approdare a un reale intervento risolutivo che ponga, sul piano giuridico ma ancor prima dal punto di vista culturale, il “femminicidio” come crimine contro l'umanità. Questo sulla scia del processo di riconoscimento universale, avviato dalla Convenzione di Istanbul, e preso in considerazione anche a livello europeo, verso la consapevolezza che ogni atto contro la dignità delle donne rappresenta una violenza verso la parte più profonda di ogni essere umano. Ed è la stessa Convenzione di Istanbul ad assegnare all'informazione un ruolo cruciale nella prevenzione di questo crimine, attraverso il contrasto agli stereotipi spesso veicolati dai media e attraverso l'assunzione di responsabilità delle giornaliste e dei giornalisti medesimi. L'informazione, purtroppo, continua non di rado a trattare gli abusi sul corpo delle donne, giovani o giovanissime, come "merce" per la vendita dei giornali, per assicurare l'impennata negli ascolti, per orientare lo zapping dei telecomandi e attirare spettatori nei contenitori televisivi. E alla violenza è stata aggiunta altra violenza. Perché l'abuso, e le giornaliste e i giornalisti lo sanno bene, non è compiuto esclusivamente dall'autore di tali infami delitti, ma anche da chi a sua volta ne “abusa” dando un'informazione viziata dall'esigenza di sensazionalità, da un approccio insensibile a chi da queste vicende deve trovare salvezza e recupero, per ricostruire una propria identità e un esistenza “normale”.
Le ricorrenze come quella attuale sono importanti per riflettere, ma non sono l'unico momento in cui il tema della violenza di genere deve sollecitare interventi e stimolare azioni virtuose. Nelle redazioni dei giornali, delle televisioni, delle agenzie, sui siti web, sui social network che il giornalismo sta utilizzando da qualche anno in modo capillare, in tutti questi luoghi il linguaggio, il modo di trattare e veicolare le notizie che riguardano i femminicidi, gli abusi sessuali, psicologici, morali, sociali e discriminatori, deve essere adeguato e rispettoso della deontologia. La formazione in questo scenario può e deve fare tantissimo affinché l'approccio sia pure cronachistico, non si trasformi in un processo sommario dove si getta in pasto all’”opinione pubblica” la vita di una donna o peggio di una bambina devastata dalla violenza, con elencazione di sordidi dettagli che non aggiungono niente a un ignobile oltraggio già subito.
Secondo i dati che ci ha fornito cortesemente Iris, il Coordinamento dei Centri antiviolenza del Veneto, a partire dal 1. gennaio 2016 al 31 ottobre il Coordinamento veneto ha ascoltato e accolto nei suoi 13 Centri antiviolenza (su 21 mappati dalla Regione del Veneto) le richieste d’aiuto di 1.524 donne, di cui 1.091 italiane, 350 di nazionalità straniera (in 83 casi la cittadinanza non si è potuta rilevare). Di loro, 773 hanno figli minori, i quali spesso sono vittime di violenza per quanto hanno assistito tra le mura domestiche.
Fanno parte del Coordinamento: Centro Veneto Progetti Donna – Auser - Padova, Belluno Donna, Telefono Rosa - Treviso, Telefono Rosa - Verona, Cooperativa Iside - Mestre, Centro antiviolenza del Polesine - Rovigo, Spazio Donna - Bassano, Donna Chiama Donna - Vicenza.